21 Febbraio 1947: Buon compleanno Polaroid, mamma del selfie

Settant’anni fa nasceva la prima macchina fotografica a stampa istantanea: a Boston nel giorno del debutto nei negozi, andarono esauriti tutti gli esemplari. Nel 1972 uscì la SX-70: le foto si sviluppavano esponendole alla luce

Tutto sarebbe nato da un capriccio: nel 1943 la figlia di Edwin Herbert Land, l’uomo secondo solo a Thomas Edison per numero di brevetti statunitensi (535 contro i 1.097 del genio della lampadina), protestò perché non poteva vedere subito le foto scattate. Perché papà, chiese la pargola a tre anni durante una vacanza a Santa Fe, non posso vedere subito il ritratto che mi hai fatto? La spiegazione che la foto andava sviluppata, non la convinse. E papà Edwin, che adorava la sua bambina, ma soprattutto era un genio, inventò la Polaroid. Non a caso Steve Jobs lo considerava il suo idolo.

La Land Camera: subito tutto esaurito

Dunque, sintesi a parte, la vicenda si è svolta così: il 21 febbraio 1947, qualche anno dopo la richiesta della bambina e finita la Seconda guerra mondiale, Edwin Land presentò alla Optical Society of America la sua invenzione. Una macchina fotografica che conteneva anche tutto il processo e i materiali per lo sviluppo (nella foto sotto con il primo modello della Land Camera) e partoriva foto fatte e finite dopo un solo minuto dallo scatto. Si chiamava, all’inizio, Land Camera: 57 apparecchi furono messi in vendita per la prima volta alla vigilia del Natale del 1948 al supermercato Jordan Marsch di Boston. Alla Polaroid (l’azienda già si chiamava così) erano convinti che ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che fossero venduti tutti: andarono esauriti il primo giorno.

21 febbraio 1947: buon compleanno Polaroid, mamma del selfie

Dal modello 95 agli scatti di Andy Warhol

Ovvero, da subito, il modello 95 ebbe un successo strepitoso. Che si rinnovò quando, nel 1963 le pellicole Polacor (già inventate da Land per il cinema) furono abbinate all’apparecchio per produrre foto semi-istantanee a colori. Nel 1972, arrivò la SX-70, che è forse quella che ricordiamo tutti: le foto si sviluppavano alla luce. Nel 1978 fu la volta di Polavision, un tentativo fallimentare di applicare la stessa tecnica ai film. Nel frattempo i cartoncini a sviluppo rapido avevano sedotto anche gli artisti, da Salvador Dalì ad Andy Warhol.

21 febbraio 1947: buon compleanno Polaroid, mamma del selfie

La bancarotta e la nascita del mito

Nel 2001 arrivò la prima bancarotta; nel 2008 la seconda. Land (in basso la copertina che gli dedicò Life nel 1972: «Un genio e la sua magica macchina fotografica») non fece in tempo a vederle perché morì nel 1991, dopo aver fondato il Rowland Institute for Science. Oggi il marchio è di proprietà di PLR IP Holdings. Nel 2010 fu scelta come direttore creativo Lady Gaga: nel 2014 il matrimonio si ruppe senza che molti si fossero accorti che fosse stato celebrato. In realtà proprio dal 2008, con la fine della vendita delle pellicole, è cominciata la polaroid-mania e si è scatenata la caccia dei collezionisti. Il digitale ha quasi ucciso la mamma (ha fatto lo stesso con la Kodak), ma ne ha creato il mito.

21 febbraio 1947: buon compleanno Polaroid, mamma del selfie

Perché a Steve Jobs piaceva Edwin Land

E in ogni caso Steve Jobs aveva diversi motivi per considerare Land un suo nume ispiratore. Prima di tutto perché, proprio come lui, nel 1927, Edwin aveva abbandonato l’Università (fece un anno di chimica a Harvard; Jobs soltanto sei mesi) per fondare, poi, nel suo garage la Polaroid Corporation. Aveva 18 anni e, come vuole la leggenda americana, pensava in grande. Aveva inventato un foglio polarizzante, che chiamò appunto polaroid, ovvero una pellicola di plastica che inglobava cristalli di erapatite (iodosolfato di chinino), che all’inizio servì per produrre occhiali da sole. A credere in lui fu Eastman Kodak: non a caso. Poi la svolta fotografica grazie al capriccio della piccola Land.

21 febbraio 1947: buon compleanno Polaroid, mamma del selfie

L’attimo fuggente e la cacciata

Ma altri due elementi univano Land e Jobs: entrambi sostenevano di «aver visto» le loro invenzioni fatte e finite, prima ancora che fossero progettate. Ovvero credevano in quell’attimo creativo su cui adesso discettano molto le neuroscienze (basti pensare al best seller Blink di Malcolm Gladwell). Ed entrambi furono cacciati dalle aziende che avevano creato: Land dovette dimettersi, nel 1982, dopo il fallimento di Polavision. Jobs si dimise dalla Apple nel settembre 1985 dopo una progressiva emarginazione, legata alle vendite deludenti dei Mac. A proposito di anniversari: Jobs rientrò in Apple nel 1997 e il 29 giugno 2007 lanciò sul mercato il primo i-Phone.

L’iPhone, figlio e killer della Polaroid

E qui, dieci anni fa, si è chiuso anche il cerchio perché in questi dieci anni il cellulare, o meglio lo smartphone ha (quasi) ucciso le macchine fotografiche. Già nel 2011 una foto su quattro era scattata dal telefonino. Nel 2015 il 48% delle foto caricate su Flickr veniva da cellulare, contro il 39% del 2014 (e il 47% di queste erano caricate da i-Phone). Ma sui social meno «fotografici» la percentuale dei scatti da cellulare, già due anni fa, era del 90% circa. Ormai Instagram ha superato il mezzo miliardo di utenti. Dietro tutto questo c’è proprio il capriccio di Baby Land e l’intuizione di papà Edwin: la foto, con la Polaroid, è passata dall’essere uno strumento del ricordo, un oggetto da conservare e usare in futuro per le memorie pubbliche e private, a un gioco emozionale istantaneo. Da qui, il trionfo del ritratto e dell’autoritratto, al punto da rendere ininfluente lo sfondo. Oppure il paradosso espresso da un’ormai celebre foto della campagna elettorale di Hillary Clinton: lei saluta il pubblico ma tutti le danno le spalle perché si stanno facendo un selfie con la candidata alle presidenziali americane sullo sfondo. (sotto le moderne Polaroid Socialmatic lanciata nel 2015: oltre a stampare subito le foto, le si può inoltrare sui social network)

21 febbraio 1947: buon compleanno Polaroid, mamma del selfie

La fotografia ha cambiato ruolo

Non conta più guardare e guardare bene, come hanno sempre suggerito i maestri della fotografia. Ma testimoniare, al momento, di esserci. La nostra non è certo la prima epoca di precarietà. Anzi. Ma la stiamo vivendo con angoscia. Osservavo l’altro giorno una ragazza in treno: ha passato tutto il tempo a scattarsi foto col telefonino, dopo essersi aggiustata i capelli e aver provato uno sguardo più sexy. Magari non le spediva neanche a qualcuno. O forse quel qualcuno era, a sua volta, così impegnato a scattarsi selfie e a mandarli a lei che non ha neanche osservato i suoi occhioni languidi. Certo è che la ragazza non ha gettato neanche uno sguardo al paesaggio che le correva incontro (lasciamo perdere l’ipotesi di trascorrere il tempo in treno leggendo o chiacchierando con chi la circondava). Valle a spiegare che ha perso un’occasione. Né Edwin né Steve (ricordate l’invito di Jobs agli studenti «Stay hungry. Stay foolish» del 2005?) passavano il tempo a osservarsi. Magari un po’ di più a vendersi bene. Ma questa è un’altra storia.

Fonte : Corriere Della Sera